mercoledì 19 gennaio 2011

Un disegno comune

“Le cooperative sociali sono morte”. Fa lui. “La cooperazione è morta”. So che non parla tanto per dire qualcosa. E allora mi chiedo che cosa intenda, Sandro, affermando una cosa così. Lui che “nel sociale” lavora da ventitré anni ed è mio collega da dieci anni, quando siamo nati proprio come Cooperativa Sociale.

Realtà complesse, sviluppatesi a partire da esperienze di volontariato e laboratori protetti da cui aspiravano a differenziarsi, le Cooperative Sociali fanno dell’aspetto produttivo e imprenditoriale, della occasione di produrre degli utili per poter vivere autonomamente all’interno del mercato un punto cardine della loro realizzazione. Che sia stato questo aspetto, il loro stesso punto di forza, ad averne decretato contemporaneamente il successo e “la morte”?

E di quale morte stiamo parlando se le cooperative sociali rappresentano in Italia un'importante realtà, sia sotto il profilo occupazionale sia per quel che riguarda l'erogazione di servizi, con una crescita significativa in questi ultimi anni, come si evince da un recente e interessante rapporto?

È cambiata la società in seno alla quale fiorirono originariamente queste esperienze, sono cambiate le aspirazioni di quanti si trovano a dar vita, oggi, a queste nuove realtà nelle quali il mio collega Sandro forse non riconosce più nulla dello spirito che animava le cooperative d’antan.

Che “fare cooperativa” sia divenuto sinonimo di “fare impresa” nella misura in cui se fallisci come impresa hai comunque fallito come cooperativa? Ma avere successo come impresa significa automaticamente avere successo come cooperativa? È importante soffermarsi su questo aspetto.

Che concentrandoci sulla nostra propria sopravvivenza economica abbiano perso di vista, come cooperative, l’importanza del revisionare e rinnovare costantemente il senso del nostro esserci e operare quotidiano?

Abbiamo trascurato gli aspetti più filosofici della nostra identità? Abbiamo cessato di porci le domande fondamentali: chi siamo? da dove veniamo? dove stiamo andando?

Abbiamo insistito sulla “dignità” del lavoro – il lavoro inteso come strumento principale di riabilitazione sociale – spesso dimenticandoci che cosa sia un lavoro dignitoso, imponendoci grandi sacrifici a fronte di soddisfazioni spesso limitate pur di sopravvivere sul mercato. Siamo ancora così certi che inserire le persone su questo mercato, a queste condizioni, sia “la cosa giusta”? lo strumento più adeguato per restituire loro autostima e dignità sociale? Dobbiamo farcele queste domande.

E che ne è del “legame con il territorio” che da sempre contraddistingue le cooperative sociali? come siamo stati capaci di onorarlo e approfondirlo facendo sì che le nostre attività lascino un territorio più ricco - in termini di creatività, cultura, bellezza, riconoscenza per tutto ciò che ci offre - riespetto a quello che abbiamo trovato? o questo legame, con il tempo, è andato sempre più assottigliandosi e riducendosi a un rapporto più strettamente utilitaristico come è vero per la maggior parte delle aziende sul mercato?

E infine come abbiamo promosso e qualificato la crescita – professionale e personale – dei nostri operatori sociali? Perché, se è vero che “per fare le cooperative ci vogliono le persone” voglio credere nella possibilità che anche le cooperative fanno le persone all'occorrenza.

Se dovessi suggerire dove cercare, oggi, ispirazione e nuovi stimoli per rianimare le cooperative con lo spirito di un tempo nella sua veste più matura e aggiornata, rivolgerei la mia attenzione alla realtà emergente degli ecovillaggi.

In queste nuove realtà sembra che si stia manifestando in maniera consapevole ed equilibrata un nuovo equilibrio fra "economia" (aspetti sociali ed economici), "persona" (aspetti culturali e filosofici) e "territorio" (aspetti ecologici). Equilibrio che, a mio avviso, dobbiamo nuovamente ricercare e riscoprire come cooperative se vogliamo onorare il nostro originale intento volto al "perseguimento dell’interesse generale della comunità alla promozione umana e all’integrazione sociale dei cittadini."

Immagini scattate presso l'Ecovillaggio di Findhorn nell'aprile 2009

martedì 11 gennaio 2011

A caccia di forme nel giardino

Intorno agli edifici della Fondazione Le Madri a Rolo, Reggio Emilia, si estende un giardino che mi ha stregato dal primo momento in cui lo vidi, un anno fa, al buio, sotto un manto di neve.

Mi ero recato presso la Fondazione per seguire un corso sui cosmogrammi biodinamici ed ecco questo giardino fu l'introduzione pratica - e vivente - agli argomenti che avremmo esplorato in aula.

La forma, le forme del vivente e come si organizzano fra loro, come si inseriscono in un paesaggio, come danno vita a un intero paesaggio e in questo caso a un giardino.

Tutto è curvilineo, biomorfo. Il terreno, altrimenti piatto nella campagna circostante, è stato generosamente modellato qui per ricavare una superficie ricca di movimenti e dislivelli - ora più dolci, ora più accentuati - sempre in equilibrio fra loro e con i corpi d'acqua e le masse vegetali che ospitano.

I percorsi sono allegri e ricchi di sorprese, portano il visitatore alla scoperta del giardino accompagnandolo lungo corsi d'acqua e prati d'erba alta, per insinuarsi nel folto di un boschetto, riuscire in uno spazio aperto e montare quindi dolcemente su per una collinetta.

Anche un osservatore distratto rimarrebbe colpito poi dalla ricchezza e dalla varietà di alberi e arbusti, suffrutici e erbe presenti.

Le siepi hanno le forme più belle, e insolite, e tuttavia armoniche ed equilibrate, che ci si potrebbe aspettare a seconda delle diverse specie, bosso e ligustro soprattutto. Proprio come se il loro autore, il giardiniere, avesse interrogato loro, le piante, prima di metter mano a forbici e cesoie, e così l'accrescimento di un ramo in una direzione, un vuoto nell'altra, sono stati i punti di partenza, l'ispirazione per modellare le siepi secondo forme e linee di forza proprie di quella specie e particolarmente per quel soggetto lì, cresciuto in quelle determinate condizioni di esposizione, temperatura, umidità etc.

E ancora bei gruppi di crespino, rose rugose, giaggioli e ginestre, fra gli altri, disegnano altre siepi e aiuole a fare da sfondo alle fioriture dei prati. I margini delle aree a boschetto contano frangole, noccioli e cornioli.

Gli alberi appartengono anch’essi a numerose specie fra cui ricordo aceri, carpini, farnie, pioppi, betulle, persino alcuni abeti sul versante esposto a nord di una delle collinette, e alcuni susini da fiore. Per lo più vigorose e in ottima salute, soltanto più tardi avrei scoperto con mano che sono fatte oggetto di un trattamento di cura particolare attraverso l’applicazione di una pasta per tronchi per nutrirle e aumentarne le difese da eventuali parassiti che si annidano fra le fessure della corteccia.

Allo stesso modo l’architettura degli edifici esistenti è stata come ammorbidita e resa più organica dall’inserimento di linee curve e forme arrotondate.

Letture consigliate:

L'uomo, sintesi armonica delle attività creatrici universali - R. Steiner, Ed. Antroposofica

Il Giardino Biodinamico - P. Pistis, Ed. Logos

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