Oggi da una mia cliente, ho avuto la percezione che occupandomi del suo giardino stessi altresì prendendomi cura del suo benessere.
Osservando il suo giardino, essendo nel suo giardino, ascolto ciò che le piace, il tipo di sistemazione, le piante e le difficoltà che incontra nel mantenerlo. Facendole delle domande per farle prendere coscienza di come vede il suo giardino e che cosa le piacerebe fare affinchè si avvicini sempre di più al suo ideale, percepisco il suo atteggiamento più generale verso la sua vita, i suoi entusiasmi e le sue delusioni.
Delle rose mi ha detto che non le interessano, possiamo estirparle a parte quella al centro, che è diventata selvatica - la vedo, così florida in mezzo alle due ibride sgangherate, tutta fiera dei suoi cinorrodi - e fa tutte queste bacche e le "rose canine" - le ha evocate facendo un gesto fra indice e pollice delle due mani, come a strofinare delicatamente un petalo rosato e come le si illuminava il viso nel ricordo.
Quando le ho spiegato il nostro approccio alla potatura, un modo di contenere e accompagnare l'accrescimento delle piante affinché possano convivere fra loro e all'interno del giardino, mi ha detto che lei predilige la forma libera a quella sempre ritoccata. Allora le ho accennato di come si tratta di trovare un equilibrio fra il portamento selvatico e quello troppo artificioso e addomesticato "perché il giardino non è una foresta..." - "Peccato!" mi ha risposto. E quanta nostalgia in quella parola.
In un angolino del giardino ho pensato per lei a un sottobosco di mughetti e aglio orsino ai piedi di un gruppetto di betulle lasciate crescere molto spontaneamente.